Oggi partiamo per un viaggio che ci porterà alla scoperta delle principali “farms” che commercializzano tagli più o meno conosciuti di black angus e wagyu australiani e statunitensi.
Come vedete ho scritto “commercializzano” perché scopriremo insieme più avanti che non tutte le farm si occupano di allevare i capi ma alcune li selezionano soltanto per poi macellarli.
La differenza è sottile ma importante: un conto è allevare un capo curandone l’alimentazione e monitorandone la salute e l’ambiente in cui vive ed un conto è scegliere un capo allevato da una farm terza seppur seguendo disciplinari o protocolli rigidi. In entrambi i casi il risultato può essere più o meno di qualità ma la discriminante importante è la costanza di risultato.
Nel caso di capo allevato direttamente si può affermare che la qualità espressa da ogni capo è sostanzialmente la stessa vista l’omogeneità di trattamento (quindi, per esempio, una picanha avrà sempre più o meno il medesimo strato di grasso indipendentemente dalle dimensioni oppure una ribeye avrà sempre più o meno la medesima marezzatura).
Nel caso invece di capo allevato in farm terze seppur secondo protocolli e successivamente selezionato dalla farm “madre” la costanza di risultato potrebbe mancare. Non è detto che capi allevati a distanza di centinaia di miglia seppur con un protocollo comune abbiamo sempre la stessa qualità. Anzi, è praticamente impossibile viste anche le differenze di clima e di ambiente. Quindi rispettando gli esempi fatti in precedenza non è detto che la picanha abbia sempre il medesimo strato di grasso ne che la ribeye abbia la medesima marezzatura semplicemente perché i capi arrivano da allevamenti differenti.
Ripeto, non sto dicendo che un capo selezionato sia qualitativamente inferiore rispetto ad un capo allevato perché in entrambe le categorie potremo trovare eccellenze ma anche qualità inferiori. Sto dicendo che capi allevati danno dei risultati più o meno costanti in termini di caratteristiche rispetto a quelli selezionati.
Voglio avere una ragionevole certezza di avere sempre la stessa tipologia di carne? Bene, allora devo scegliere un capo allevato dalla farm “madre”.
Mi può esser sufficiente avere la ragionevole certezza di avere un risultato di qualità ma posso sopportare il rischio di avere seppur sporadicamente differenze importanti nella tipologia della carne? In questo caso posso rivolgermi verso un capo selezionato dalla farm “madre”.
La costanza di risultato è un valore aggiunto rispetto allo standard e quindi è una caratteristica che si paga. Infatti a parità di qualità le farm che allevano direttamente i capi generalmente praticano prezzi superiori rispetto a quelle che li selezionano solamente.
Il prezzo superiore inoltre genera anche l’effetto che la farm deve ricercare costantemente produzioni di qualità in modo da giustificare agli occhi del consumatore medio la differenza di prezzo e non si può permettere errori grossolani.
Detto questo andiamo a conoscere le farm principali in termini di qualità del prodotto finale e per ognuna vi dirò se alleva o seleziona i capi da cui derivano i tagli che commercializza.
Tutte le informazioni che sto per scrivere le ho recuperate dai siti internet delle singole farm qualche volta non disponibili in lingua italiana. Quindi sono fatti salvi eventuali errori di traduzione/comprensione.
KANSAS RANCH –> https://www.quabas.it/brochures/2018/Kansas_Ranch_USA_ITA.pdf –> marchio appartenente al gruppo Quabas (import/export di carni fresche e congelate con sede in Castelvetro Piacentino) e commercializzato dalla “Black Angus Premium Farms Srl” società appartenente al medesimo gruppo. Nella brochure presente sul sito viene evidenziato che “i capi utilizzati nella nostra produzione, selezionati in base ad elevati criteri ed allevati secondo standard di benessere più rigorosi, garantiscono il nostro obiettivo primario: la sicurezza alimentare e la completa soddisfazione del consumatore finale”. Più avanti si dice che “K. Ranch è un programma che, grazie alla rigorosa selezione dei migliori capi di Black Angus provenienti dal midwest degli Stati Uniti, unita ad una dieta specifica di alimentazione a mais, garantisce il massimo risultato in termini di tenerezza e gusto”. Quindi Kansas Ranch è un marchio che identifica un programma che seleziona bovini in base a rigidi parametri qualitativi.
SELEZIONATORE – BLACK ANGUS USA
GREATER OHAMA –> https://greateromaha.com/ –> produttore operante dal 1920, nome completo “Greater Ohama Packing”. Nella home del sito si legge “Greater Ohama Packing processa 2.400 capi al giorno della migliore e più alta qualità.” Scorrendo verso il basso troviamo “tutti i nostri bovini provengono da meno di 200 miglia rispetto alla nostra sede in Ohama, Nebraska, il cuore dello Stato dalle migliori mucche”. Nella sezione relativa ai “produttori” sono presenti 11 diversi allevatori dai quali Greater Ohama Packing seleziona i capi. Quindi sostanzialmente si tratta di una società che si occupa di macellazione e di distribuzione.
SELEZIONATORE – BLACK ANGUS USA
CREEKSTONE FARMS –> https://www.creekstonefarms.com/ –> produttore focalizzato sulla qualità superiore dei prodotti ed infatti ha uno dei pochi programmi certificati da USDA (Creekstone Farms Premium Black Angus Beef program). Nella sezione “our story” del sito si legge “i nostri bovini sono selezionati a mano per essere il meglio del meglio e rappresentano la vera genetica del Black Angus. Solo 1 bovino su 100 rappresenterà il marchio Creekstone Farms”. Quindi anche in questo caso siamo di fronte ad un selezionatore e non ad un allevatore ma con una particolarità importante. Curiosando nella sezione “our products” viene evidenziato che “i bovini provengono dalla genetica Black Angus di Creekstone Farms verificabile dalla documentazione consegnata dagli allevatori partner” e “la genetica proprietaria Black Angus, tra le migliori del settore, funge da punto di riferimento della qualità del nostro programma”. Ecco la differenza sostanziale fra Creekstone Farms e gli altri selezionatori: hanno a disposizione un codice genetico proprietario sul quale basare la scelta dei capi che non avviene, quindi, soltanto per colore od altre caratteristiche fisiche.
SELEZIONATORE e PROPRIETARIO DI CODICE GENETICO – BLACK ANGUS USA
BLACKSTONE WAGYU –> https://www.quabas.it/brochures/2020/Blackstone%20Wagyu%20ENG.pdf –> altro marchio del gruppo Quabas e commercializzato dalla stessa Black Angus Premium Farms Srl. Nella brochure si legge “cresciuto nei ranch che selezioniamo nel cuore degli Stati Uniti”. Non si fa menzione a criteri di selezione ne’ di protocolli di alimentazione ed allevamento.
SELEZIONATORE – WAGYU USA
SNAKE RIVER FARMS –> https://www.snakeriverfarms.com/ –> sul sito si legge che l’azienda fu fondata nel 1968 con l’acquisto delle mangiatoie “Snake River” in Idaho. Il primo programma Wagyu fu creato nel 1988 con il nome Snake River Farms. Nel 2016 è stato costruito il centro di sviluppo per tori in modo da incrementare la qualità dei Wagyu. SRF controlla l’intera catena di approvvigionamento: dai ranch dove vengono allevati i capi fino ai macelli, senza dare lavorazioni a terzi. SRF si definisce “pioniera nel Wagyu USA. Diventare un pioniere non vuol dire fare il lavoro nel modo più facile ma significa fare il lavoro nel modo corretto”.
ALLEVATORE – WAGYU USA
ANGUS RESERVE AUSTRALIA –> https://www.angusreserve.com.au/ –> siamo di fronte da un altro marchio del gruppo Quabas sempre commercializzato dalla Black Angus Premium Farms Srl. Per questo particolare marchio è stato creato un sito internet dove si legge “siamo differenti perché siamo l’unico marchio Verified Black Angus integrato verticalmente sul mercato. Questo significa che possediamo e gestiamo tutte le operazioni. Dalla relazione con i nostri allevatori di Angus…” e successivamente “abbiamo lavorato duramente con ognuno degli allevatori di Angus per le migliori relazioni”. Quindi si tratta di un marchio che seleziona capi di Black Angus verificati.
SELEZIONATORE – ANGUS AUSTRALIA
OAKEY RESERVE e OAKEY PREMIUM WAGYU –> https://www.quabas.it/brochures/2018/OAKEY_Reserve_ITA.pdf e https://www.quabas.it/brochures/2018/Wagyu_ITA.pdf –> altri marchi del gruppo Quabas commercializzati dalla medesima società. Nella brochure dell’Oakey Reserve è scritto “Il macello Oakey è uno degli stabilimenti di lavorazione del bovino più grandi e avanzati in Australia” e più avanti “i nostri animali sono in prevalenza di razza britannica da carne ovvero Angusy, Hereford e Murray Grey. Nella brochure del Oakey Premium Wagyu, invece, “NH Foods seleziona i migliori Wagyu australiani per offrire carne di qualità straordinaria”.
SELEZIONATORE – ANGUS e WAGYU AUSTRALIA
JACK’S CREEK –> https://www.jackscreek.com.au/ –> azienda operativa dal 1852. Nella sezione “about us” del sito si legge che inizialmente era specializzata in macellazioni e dagli anni ’70 attivi anche nell’allevamento di bovini a seguito acquisto di una proprietà chiamata Big Jack’s Creek. Fino al 1990 ha continuato ad allevare esclusivamente Black Angus ma nel 1991 ha iniziato ad incrociare i suoi capi con dei maschi di Tajima Wagyu della prefettura di Hyogo. Per questo è stata una delle prime farm a commercializzare anche wagyu. Ad oggi Jack’s Creek alleva e processa sia prodotti Black Angus che Wagyu.
ALLEVATORE – ANGUS e WAGYU AUSTRALIA
RANGERS VALLEY –> https://www.rangersvalley.com.au/ –> nella sezione “about” del sito viene subito chiarito che “noi acquistiamo solamente manzi Black Angus e incroci Wagyu da fornitori selezionati” poi che “la nostra posizione provvede condizioni ottimali per i bovini” e infine che “Noi otteniamo la massima marmorizzazione con razioni specifiche di grano per permettere una crescita dei capi ad una velocità normale”. Quindi si può dire che la farm acquista i capi (sia BA che cross) e poi alimenta per arrivare ad una marmorizzazione ottimale (circa 270 giorni per un Black Angus e 350 per un Wagyu). I marchi più conosciuti della farm sono il Black Onyx, il Black Market e il WX. Una nota di colore: l’attività nasce nel 1838 come allevamento di pecore da lana e nel 1845 si potevano contare 13.500 pecore e 335 mucche. Ad oggi si contano circa 40.000 mucche su una superficie di 12.000 acri.
ALLEVATORE – BLACK ANGUS e WAGYU AUSTRALIA
Come conclusione vi espongo un concetto già espresso in precedenza ma che adesso potrete affiancare ad ogni farm che vi ho presentato.
Ci sono differenze di prezzo anche importanti fra diversi marchi che commercializzano lo “stesso” prodotto (inteso come razza di bovino) ma la discriminante fra loro e l’essere allevatore oppure selezionatore.
Un allevatore ha il controllo totale della filiera produttiva partendo dall’alimentazione, proseguendo con la ricerca dell’ambiente di allevamento migliore ed arrivando poi alla macellazione e quindi può assicurare un certo standard di prodotto finale e soprattutto una “costanza di qualità”.
Inoltre visto il prezzo mediamente più elevato del prodotto deve limitare al minimo eventuali errori che possano ripercuotersi sul “profilo premium” che si è creato.
Un selezionatore, invece, affida i protocolli di alimentazione e cura degli animali ad allevatori terzi e poi selezionare i capi che più si avvicinano al proprio programma ma questa “selezione” senza controllo diretto può far aumentare la probabilità di avere livelli di qualità non costanti fra un capo ed un altro.
La picanha è un taglio di manzo molto usato nella cucina sudamericana e soprattutto brasiliana dove è la regina del Churrasco.
In Italia viene chiamata in diversi modi: codone, punta di sottofesa e copertina dello scamone.
Ha una forma triangolare ed ha uno spesso strato di grasso su uno dei due lati.
Il grasso ha una duplice funzione:
La cottura tradizionale della picanha prevede l’utilizzo di spade: si tratta essenzialmente di una cottura diretta “alta” (ovvero con distanza fonte di calore/alimento di almeno 30 cm). Il taglio viene diviso in fette di grosso spessore che vengono ripiegate lasciando il grasso verso l’esterno. Successivamente vengono infilzate sulla spada e poi rigirate molto spesso per far sì che il grasso si sciolga e faccia la crosticina sulla fetta.
In mancanza dell’attrezzatura che possa garantire una cottura tradizionale corretta, la picanha può anche essere cotta intera: avremo la certezza di un risultato ottimo, seppur differente, ma con un impegno molto inferiore.
Ecco come si fa:
A) Prendi la picanha intera ed incidi il grasso a quadrati avendo l’accortezza di non tagliare la carne sottostante. Fortunatamente fra grasso e carne è presente un sottile strato di tessuto connettivo un po’ più duro da tagliare e che quindi aiuta ad evitare incisioni troppo profonde.
B) Spennella un velo d’olio sull’intera superficie del pezzo e cospargilo con il tuo rub preferito oppure semplicemente con sale e pepe avendo cura di far penetrare il mix anche all’interno delle incisioni nel grasso.
C) Predisponi il tuo dispositivo bbq per una cottura indiretta a 100-110°C. Chi non ha il bbq può impostare il forno in modalità ventilata alla stessa temperatura.
Una volta stabilizzata la temperatura, metti la carne in cottura dopo aver inserito una sonda per monitorare il grado di cottura.
Se vuoi puoi aggiungere dei chunks o chips di legno da affumicatura per conferire un sapore particolare alla preparazione (ovviamente non in forno!). Io ho usato un blend di frassino e mogano ma, considerando la difficoltà di reperimento, potresti usare in alternativa un mix di ciliegio e hichory, oppure solo ciliegio.
D) Una volta raggiunti i 52/53 gradi al cuore togli la carne dalla cottura e prepara il dispositivo per una cottura diretta. Chi utilizza il forno dovrà accendere il grill.
Rosola tutti i lati della picanha facendo attenzione a non carbonizzarne delle parti e presta attenzione alle fiammate dovute alla caduta del grasso sciolto. Se si innesca una fiammata sposta la carne nella safe zone (ovvero una zona di griglia senza carbone acceso sotto) e chiudi il coperchio. Riapri il coperchio una volta sopita la fiamma. Una volta che il grasso avrà raggiunto un bel color nocciola scuro allora metti a riposo su un tagliere. Chi utilizza il forno dovrà esporre al grill ogni lato della picanha cercando di ottenere lo stesso risultato.
E) La picanha potrè essere servita calda oppure a temperatura ambiente come un roast beef.
Era da tanto tempo che stavo cercando una alternativa alla cottura “tradizionale” delle beef ribs.
Quasi sempre le ho fatte affumicate nel bbq ad una temperatura di circa 110 gradi e al raggiungimento di una data temperatura al cuore le arrotolavo in almeno tre strati di alluminio per portarle a temperatura finale.
Per cambiare, ogni tanto, ho utilizzato il forno ma sempre replicando il metodo precedente e quindi più o meno con lo stesso risultato (fatta salva l’affumicatura che in un forno tradizionale non si può ottenere): osso che viene via facilmente dalla carne, grande presenza di succhi derivanti dallo scioglimento del grasso e del collagene e sapore importante dato dalla crosticina.
Recentemente ho acquistato un wok e ho iniziato ad interessarmi di cucina orientale. Non cinese! Ho scritto orientale.
Tra le varie ricette e suggerimenti ho trovato la tecnica della brasatura in wok.
Si tratta di una tecnica molto simile alla nostra che prevede le tre fasi tipiche: la rosolatura di ogni lato del pezzo, la copertura o semi copertura con un liquido e la chiusura del dispositivo di cottura.
Quello che cambia è, però, la preparazione dell’alimento antecedente alla cottura.
Gli orientali utilizzano molte marinature dai sapori contrastanti che ben si abbinano con i vari alimenti. Marinature che spesso poi vengono utilizzate per glassare il cibo a fine cottura. Purtroppo gli ingredienti usati nella cucina tradizionale spesso non si trovano con facilità nel nostro Paese e quindi dobbiamo per forza scendere a compromessi utilizzando quelli più simili.
Oggi vi spiego la mia personale versione delle beef ribs marinate e brasate in wok.
800 gr di beef ribs
60 ml di salsa Hoisin (so già che non l’avete ma non temete perché vi dirò come cercare di replicarla)
2 cucchiai di sherry secco (io non lo avevo ed ho usato del sangiovese in purezza)
1 cucchiaio di salsa di soia
2 cucchiai di miele
200ml di acqua
Amido di mais q.b.
Sale, pepe, aglio q.b.
Olio di semi q.b. (io ho usato un olio di semi di girasole alto oleico con punto di fumo a 240/250°C)
4 cucchiai di salsa di soia
2 spicchi di aglio
1 cucchiaio di miele
1 cucchiaino di tabasco
1 cucchiaino di zucchero
2 cm di radice di zenzero
1 cucchiaio di aceto di mele
1 cucchiaio di olio di oliva
1 cucchiaino di amido di mais
Tritate finemente l’aglio e lo zenzero. Poi con una forchetta riducete a poltiglia il trito (se avete un mortaio potete utilizzarlo. Vi faciliterà non poco l’operazione).
In una ciotola mescolate tutti gli ingredienti fino ad ottenere un composto omogeneo.
Far riposare in frigo almeno un giorno.
Mescolate tutti gli ingredienti fino ad ottenere un composto omogeneo, mettete le beef ribs in un contenitore richiudibile e versate la marinatura. Se la marinatura non copre completamente il pezzo di carne non succede niente: basta avere l’accortezza di lasciare la parte con l’osso verso l’alto in modo da insaporire bene la parte più “cicciosa”. Far riposare in frigo almeno 1 notte.
Riscaldate bene il wok e, una volta caldo, aggiungete un filo di olio di semi.
Asciugate bene le beef ribs dalla marinatura con carta assorbente e rosolate molto bene su tutti i lati.
Una volta ottenuta una buona crosticina su tutti i lati aggiungete la marinatura e 200ml di acqua, abbassate la fiamma e coprite con un coperchio. Proseguire nella cottura finché infilzando la carne con uno stuzzicadenti non sentirete la carne ben cedevole ma ancora salda.
Se volete utilizzare il bbq potrete rosolare le beef ribs in cottura diretta per poi passarle in una leccarda o cocotte per la brasatura in cottura indiretta.
A questo punto togliete la carne dal wok, tenetela in caldo in forno riscaldato ad 80/100 gradi e fate restringere il liquido di cottura. Sarà un concentrato di sapore! Se volete potete aggiungere qualche cucchiaino di amido di mais per renderlo subito più denso.
Coprite la carne con la salsa ottenuta e lasciatela glassare in forno qualche minuto (o in bbq sempre in cottura indiretta).
Servite in un piatto riscaldato e godete!
Agli occhi di un bambino un dispositivo barbecue può sembrare un mostro infernale: carbone, fuoco, fiamme e fumo. Vi ricordate la stufa mostruosa del film “Mamma ho perso l’aereo”? Tutte le volte che Kevin scendeva le scale della cantina e si avvicinava all’elettrodomestico questo accendeva la legna e apriva la protezione in ghisa come a voler mangiare il malcapitato bambino.
Ecco… se rendiamo partecipi i bambini della nostra passione, ovviamente con le cautele del caso, potremo avere delle belle soddisfazioni e potremo passare del tempo in spensieratezza.
Certo, se tutti fossero apprensivi come me i nostri figli griglierebbero ai 18 anni e con protezioni da fonderia!!
Va da se che questa avventura va affrontata con la massima precauzione possibile e seguendo la “diligenza del buon padre di famiglia”. Non vorremo mai che una bella giornata in famiglia si trasformi in un disastro.
Quindi è opportuno che sia un adulto a preparare il dispositivo per la cottura: l’uso di accenditori, accendini, ciminiera di accensione, bombole del gas e altri oggetti similari deve essere precluso ad un bambino.
In più dobbiamo cercare di sistemare la postazione in modo tale da limitare la probabilità di accadimento di incidenti: il dispositivo va messo su una superficie stabile, eventuali sedie necessarie a far arrivare il bambino all’altezza della griglia devono essere ben stabili e non allontaniamoci MAI dalla postazione lasciando il bambino libero di grigliarsi le manine!
Questo è un elenco di cose da fare puramente indicativo e pertanto non esaustivo rispetto alle precauzioni da tenere.
Tutti gli accessori che usualmente utilizziamo non sono sempre adattabili all’utilizzo da parte di un bambino o comunque necessitano di qualche aggiustamento.
Le pinze, per esempio, devono essere di una lunghezza tale da poter essere usate in sicurezza da parte delle braccine corte dei bambini (precisazione: non è un riferimento alla loro tirchieria ma proprio alle loro dimensioni). Per fortuna sul mercato sono presenti tantissimi modelli di lunghezze differenti. Stesso discorso vale anche per spatole ed accessori similari.
Inoltre, per proteggere le delicate estremità dei bambini dal calore del fuoco, è opportuno valutare di far indossare dei guanti resistenti alle alte temperature. Anche se ormai le nostre braccia sono praticamente glabre e non abbiamo più impronte digitali sui polpastrelli, quelle dei bambini sono ancora intatte!
A tutto questo aggiungete anche un grembiule spesso in modo che, anche in caso di contatto accidentale con il dispositivo, il bambino possa non avere conseguenze.
Ma quali sono gli alimenti più facili da grigliare per i nostri piccoli griller?
Direi innanzi tutto di partire con cotture dirette perché necessitano di minori accortezze e meno abilità tecniche.
Predilite alimenti che possano generare meno fiamme possibili per evitare incidenti da inesperienza e comunque create sempre una safe zone a portata di bimbo. Restate a sorvegliare ogni movimento del bambino: ancora non hanno la nostra capacità critica (o meglio… quella che dovrebbe avere un adulto) necessaria a fronteggiare emergenze.
Io vi consiglio di iniziare con degli hamburger. Si tratta di un alimento tutto sommato semplice da grigliare: basta girarli spesso ed evitare che cadino tra i tondini della griglia. L’importante è metterne in cottura una piccola quantità in modo che il bambino con i suoi modi impacciati possa comunque operare con tranquillità: nulla vi vieta di fare una grigliata a 4 mani.
Anche il pollo o i wurstel possono fare al caso nostro. Hanno pochi grassi e quindi permettono una cottura in sicurezza.
Insomma, sta al vostro occhio esperto identificare le criticità nella gestione degli alimenti da parte del bambino ed agire di conseguenza.
Vi racconto come ho fatto io a far avvicinare mio figlio di 7 anni alla cottura su barbecue.
Ho preparato con cura questo momento di condivisione per cercare di non lasciare nulla al caso ma nonostante la mia perizia già vi dico che il detto “se qualcosa può andare storto allora siate certi che ci andrà!” è sempre valido.
Per questa occasione ho utilizzato il Weber Go Anywhere a carbone che tengo in garage. Le dimensioni contenute mi hanno permesso di rendere più piccola la quantità di alimenti contemporaneamente in griglia e, al contempo, rendere facile il trasporto anche da parte di mio figlio. D’altronde deve imparare anche quali accessori utilizzare e come spostarli!
Quindi siamo andati insieme in garage, abbiamo preso la ciminiera piccola e l’abbiamo riempita di carbone di piccola e media pezzatura (ho spiegato che i pezzi più grandi vanno sotto e quelli più piccoli vanno sopra) e poi ho fatto svuotare a mio figlio il contenuto nel dispositivo. Immediatamente si è alzata una nuvola di polvere perché, ovviamente, non ha compiuto l’operazione delicatamente. Al che ho affermato: “vedi Norberto (nome di fantasia)? Se la ciminiera fosse stata piena di carbone acceso cosa sarebbe successo?”. E lui “niente babbo, perché l’avresti svuotata te!”. Perspicace il bimbo…
Poi abbiamo preso un sacco e ci abbiamo messo tutto l’occorrente: pinze, accenditori, leccarde e, soprattutto, la spazzola. Il bambino deve subito capire che dopo il piacere viene il dovere (o era il contrario?) e che quindi che dopo ogni cottura va pulita la griglia.
Il dispositivo l’ho fatto portare a lui mentre la più leggera borsa l’ho portata io: è bene che sia chiaro che i sacchi da 25kg di carbone non si spostano da soli e quindi è necessaria una quanto meno accettabile forma fisica.
Arrivati in terrazza gli ho fatto preparare il dispositivo per l’accensione: appoggiare la ciminiera sulla griglia carboni libera e riempirla di carbone con le pinze, mettere due accenditori sotto alla ciminiera ed allontanarsi. Gli ho anche spiegato dell’importanza di accendere la ciminiera il più vicino possibile alla terra per evitare che le scintille possano incendiare altri oggetti e che sia un po’ più riparata dal vento.
Ovviamente appena detto ciò è venuta una folata similare a quella generata dalla galleria del vento della Ferrari ma fortunatamente le scintille non hanno fatto danni: la prevenzione funziona.
Una volta pronto il carbone l’ho riversato nella griglia carboni e ho appoggiato il dispositivo sul tavolino che ho in terrazza. Ho mandato mio figlio a prendere la carne e gliel’ho fatta asciugare ben bene con carta assorbente. Già che aveva le mani “sporche” ho approfittato per fargliela massaggiare un po’ con l’olio di semi (cosa che gli è piaciuta molto perché i bambini più “intrugolano” con le mani e meglio stanno).
Una volta disposti gli hamburger in griglia ho iniziato a farli muovere e girare al bimbo: gli ho spiegato l’importanza di non fare fiammate e di rigirarli spesso per fare una bella crosticina fuori ma cuocerli bene dentro. La cottura è andata meglio del previsto ed infatti solamente 2 dei 6 hamburger grigliati hanno subito qualche danno da manovra di rotazione incauta.
Dopo tutta la fatica fatta mio figlio ne ha mangiati due ed ha affermato: “babbo, cosi sono buoni… ma mangiati senza sforzo di cucinarli sono ancora più buoni!”. A posto, missione trasmissione passione (one… one… one) fallita miseramente. Riproverò più avanti.
Questa ricetta base di cavolfiore non è prettamente a base Bbq ma può rappresentare una buona idea per uno stuzzichino da aperitivo o per un contorno.
1 cavolfiore
30gr di pinoli
1 uovo
2 cucchiai di pecorino romano
3/4 cucchiai di pan grattato più la quantità necessaria per la panatura
q.b. di sale e pepe
q.b olio EVO
1. Lavate e mondate il cavolfiore riducendolo poi a ciuffetti.
2. Cuocetelo a vapore per almeno 15 minuti o fin quando sarà morbido.
3. Raffreddate rapidamente sotto un getto di acqua fredda il cavolfiore e mettetelo in un frullatore con il resto degli ingredienti.
4. Frullate fino ad ottenere un composto non troppo morbido e facilmente lavorabile. Se necessario aggiungete pan grattato.
5. Con le mani umide prendete circa due cucchiai di composto e dategli una forma a piacimento in modo che resti compatto ma “disordinato”. Poi passatelo nel pan grattato precedentemente messo da parte e posizionatelo su una teglia da forno.
6. Passate un filo d’olio sopra il composto ed infornate a 180/200 gradi per una decina di minuti.
7. Passate a modalità grill per abbrustolire la superficie.
Semplice ma di sicuro effetto!
Oggi vi presento un accessorio prodotto negli USA: il TipTopTemp (link al sito).
Il TipTopTemp non è altro che uno strumento che reagisce alla temperatura: una molla si stringe o allarga al variare della temperatura andando ad aprire o chiudere una valvola. I questo modo si ha il controllo dell’aria all’interno della camera di cottura e quindi della temperatura di esercizio.
L’utilizzo del TipTopTemp può avvenire in due modi: uno consigliato dal produttore (e presente anche sulle istruzioni) ed uno studiato da un cliente. Io ho provato quello consigliato dal produttore.
1. Accendere la quantità necessaria di combustibile
2. Versarlo nel braciere ed uniziare a monitorare la temperatura.
3. Giunti in prossimità della temperatura desiderata chiudere le vents in ed aprire completamente la vent out.
4. Installare il TipTopTemp : far scivolare verso il basso la guarnizione rossa, posizionare lo strumento sulla vent out e poi spingerlo verso il basso facendo ritornare quasi al suo posto la guarnizione. Così l’aderenza del TipTopTemp sarà perfetta. Io l’ho installato ai 95 gradi su griglia per i 110 gradi target.
5. Aprire la valvola ruotando la ghiera e posizionarla ai 90° rispetto alla vent out. La valvola inizierà a chiudersi all’aumentare della temperatura. Una volta che avrà smesso di muoversi e/o manca qualche grado alla temperatura target chiuderla quasi completamente. La temperatura sarà così stabilizzata. Io mi si sono fermato a 107/108 gradi.
6. Se volete stabilizzare successivamente ad una temperatura più alta è sufficiente aprire nuovamente a 90° la valvola e ripetere l’operazione.
Un cliente ha eseguito numerosi test di funzionamento ed è andato a calcolare l’aumento di temperatura per ogni grado di apertura della valvola.
Ha raccordato il tutto in una tabella andando a considerare anche la Temperatura ambientale.
Ad ogni temperatura ambientale ha abbinato quella teoricamente raggiungibile in griglia aprendo la valvola seguendo i numeri presenti sulla ghiera della molla del TipTopTemp.
Ho provato il TipTopTemp con una cottura di media durata: un baltimora pit beef in abbinamento allo slower.
Il dispositivo è rimasto stabilissimo fino ad un imprevisto: una folata di vento ha aperto leggermente il coperchio del bbq e quindi, dopo una repentina diminuzione, la temperatura ha iniziato a salire. Nonsono intervenuto per vedere cosa sarebbe successo. Il TipTopTemp si è chiuso completamente e, insieme all’azione regolatrice dello Slower la temperatura si è stabilizzata sui 125 gradi. Una sicurezza per qualsiasi cottura: l’azione combinata dei due accessori ha salvato il risultato dandomi il tempo di chiudere bene il coperchio (cosa che ho voluto fare svariati minuti dopo per verificare la situazione).
Non posso che essere soddisfatto del risultato soprattutto per l’estrema facilità di stabilizzazione e per la gestione dell’emergenza “coperchio leggermente aperto”.
Oggi vi presento un accessorio prodotto artigianalmente dalla WeBBQ (link al sito web) che mi ha semplificato la gestione del kettle: lo slower.
Lo slower è un accessorio che si installa nel kettle ed è realizzato in acciaio inox AISI 304 con spessore 2mm.
Ha la funzione di ottimizzare il consumo di combustibile, migliorare la stabilità di temperatura ed ottimizzare gli effetti della cottura indiretta grazie ad una miglior schermatura del cibo dal calore.
In più permette l’utilizzo di una maggiore superficie di griglia nelle cotture indirette.
Per chi ha un weber kettle plus 47 come me permette anche di posizionare del cibo ingombrante sulla griglia carboni (per esempio un beer can chicken che per altezza non entra nello spazio tra griglia di cottura e coperchio).
La predisposizione del kettle è semplice:
1. Posizionare lo slower nel braciere
2. Riempire lo slower di combustibile partendo dai lati
3. Posizionare una piccola quantità di carbone acceso sopra le braci spente
4. Coprire la parte di griglia carboni non utilizzata con dell’alluminio per indirizzare il flusso d’aria in ingresso verso lo slower.
5. Posizionare la griglia di cottura ed utilizzare delle chips/chunk di legno per una eventuale affumicatura
6. Regolare le vent in e out come da manuale WeBBQ.
Il principio di funzionamento è quello del Minion Method (link all’articolo).
Ho provato lo slower con una cottura di media durata: un baltimora pit beef (link alla ricetta) ed una fesa di tacchino affumicato.
Come si vede dalla foto lo spazio utilizzabile è molto maggiore rispetto ad una classica cottura indiretta.
Posizionando il legno non a contatto con le braci ma subito sopra si ottiene il thin blue smoke perché la combustione delle chips/chunk sarà incompleta.
In 3 ore la temperatura è rimasta costante tra i 105 e 115 gradi senza necessità di intervenire sulle ventole e il consumo di carbone è stato di circa 1/3 del carico.
Quindi con un carico è possibile arrivare a circa 9 ore di cottura trascorse le quali è possibile rabboccare il dispositivo per mezzo della aletta apribile della griglia.
Lo slower è utilizzabile anche per cotture indirette a più alta temperatura: basta aumentare la quantità di carbone acceso iniziale e aprire maggiormente le vent in e out.
Non posso che essere soddisfatto del risultato e lo slower è diventato un nuovo mio “mai più senza”.
Meater+ é l’evoluzione del primo termometro a sonda senza fili.
Ho già recensito il prodotto in precedenza (link) e devo dire che mi sono trovato molto bene nel suo utilizzo.
Vi carico il video di presentazione che ho preparato per la prima recensione.
Tra i punti di forza ho evidenziato:
– Semplicità di utilizzo, livello tecnologico elevato e ottimi risultati di cottura
– Possibilità di utilizzo anche in dispositivi di cottura dove la presenza dei fili potrebbe essere un reale problema (per esempio nei girarrosti)
– App intuitiva e di facile utilizzo
– Gestione della fase di risposto (rest) post- cottura per un risultato di cottura molto preciso
– Batteria ricaricabile capiente
Tra le aree di miglioramento ho segnalato:
– Traduzione multi-lingue dell’app
– Portata un po’ scarsa in caso di utilizzo con kettle e smoker
Apption Labs, partendo dall’ottimo lavoro fatto con MEATER, ha sviluppato il MEATER+. In pratica si tratta di una evoluzione del precedente dispositivo che ha reso possibile l’incremento della potenza del segnale. In questo modo il termometro è in grado di comunicare con lo smartphone fino a 50metri di distanza in campo aperto.
MEATER+ si connette via bluetooth alla propria custodia in legno che a sua volta ripete il segnale connettendosi allo smartphone. Per il funzionamento corretto della ripetizione del segnale la custodia deve essere posta a massimo 3 metri di distanza.
Quindi, ricapitolando, lo smartphone si associa al MEATER+ tramite la custodia.
In questo modo uno dei limiti segnalati nelle varie recensioni viene definitivamente superato con questo nuovo prodotto.
Ho fatto due test comparativi tra MEATER e MEATER+: uno indoor ed uno outdoor.
Vediamo come si è comportato il nuovo termometro.
Indoor
Svolgimento: ho messo le due sonde nel forno in cucina, la custodia di MEATER+ accanto al forno e ho fatto il collegamento alla app via bluetooth.
Risultato: MEATER ha interrotto il collegamento dopo 8 metri mentre MEATER+ continuava a trasmettere anche a 18 metri di distanza.
Se avessi usato un barbecue MEATER si sarebbe fermato a 3 metri mentre MEATER+ avrebbe mantenuto la distanza abituale.
In pratica con il nuovo termometro posso spostare tranquillamente il cellulare in tutto l’appartamento mentre con MEATER sono costretto a lasciarlo in salotto (contiguo alla cucina).
Il risultato è veramente buono anche considerando le due pareti che il segnale ha oltrepassato nel test.
Outdoor
Svolgimento: ho messo le due sonde in un fornino in garage, la custodia di MEATER+ accanto al fornino e ho fatto il collegamento della app via bluetooth.
Risultato: MEATER ha avuto una portata di 10mt mentre MEATER+ è arrivato a 40mt.
Anche in outdoor si conferma la superiorità della tecnologia del termometro evoluto che, però, non è arrivato ai nominali 50mt a causa della porta del garage chiusa e di una siepe poste fra lo smartphone e la sonda.
Per quanto riguarda l’altezza sono riuscito a collegare MEATER+ ad un piano di differenza (terrazza di casa, piano terra) mentre con MEATER questa operazione è stata impossibile.
Apption Labs è riuscita ad eliminare il più grande difetto di MEATER ovvero la potenza del segnale. A questo punto MEATER+ rappresenta il nuovo benchmark per i produttori che dovessero entrare nel mercato dei termometri realmente senza fili.
In più l’app è attualmente disponibile anche in Italiano e altre lingue sono in sviluppo.
Per quanto mi riguarda il nuovo termometro non ha più difetti.
Trovate Meater+ ad un prezzo di euro 119 a questo link:
Oggi vi parlo di una salsa con spiccati aromi asiatici perfetta da abbinare a carni come Kobe e Wagyu ma anche a qualsiasi tipo di carne che abbia un giusto livello di marezzatura (grasso inframuscolare).
Fate ammorbidire cipolla e scalogno nell’olio caldo.
Aggiungete il mirin e proseguire la cottura per qualche minuto in modo da far insaporire bene il composto.
Unite anche la salsa di soia e fate ritirare un po’ la salsa in modo da renderla un po’ più densa.
Togliete dal fuoco ed aggiungete il succo di limone, il peperoncino o paprika piccante e il sale.
Verificate il gusto della salsa. Deve essere prevalentemente sapida ma si deve percepire anche l’acidità del limone, la piccantezza del peperoncino o della paprika e il retrogusto dolce del mirin.
Prendete la salsa calda, mettetela in una ciotolina e inzuppateci ogni singolo pezzetto di carne.
Il gusto sapido bilancerà la dolcezza del grasso della carne mentre il resto esalterà il sapore manzoso della carne e della crosticina.
Provatela e non ve ne pentirete…