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Black Angus & Wagyu: tutte le “farms” sono uguali?

Oggi partiamo per un viaggio che ci porterà alla scoperta delle principali “farms” che commercializzano tagli più o meno conosciuti di black angus e wagyu australiani e statunitensi.

Come vedete ho scritto “commercializzano” perché scopriremo insieme più avanti che non tutte le farm si occupano di allevare i capi ma alcune li selezionano soltanto per poi macellarli.

La differenza è sottile ma importante: un conto è allevare un capo curandone l’alimentazione e monitorandone la salute e l’ambiente in cui vive ed un conto è scegliere un capo allevato da una farm terza seppur seguendo disciplinari o protocolli rigidi. In entrambi i casi il risultato può essere più o meno di qualità ma la discriminante importante è la costanza di risultato.

Costanza di risultato

Nel caso di capo allevato direttamente si può affermare che la qualità espressa da ogni capo è sostanzialmente la stessa vista l’omogeneità di trattamento (quindi, per esempio, una picanha avrà sempre più o meno il medesimo strato di grasso indipendentemente dalle dimensioni oppure una ribeye avrà sempre più o meno la medesima marezzatura).

Nel caso invece di capo allevato in farm terze seppur secondo protocolli e successivamente selezionato dalla farm “madre” la costanza di risultato potrebbe mancare. Non è detto che capi allevati a distanza di centinaia di miglia seppur con un protocollo comune abbiamo sempre la stessa qualità. Anzi, è praticamente impossibile viste anche le differenze di clima e di ambiente. Quindi rispettando gli esempi fatti in precedenza non è detto che la picanha abbia sempre il medesimo strato di grasso ne che la ribeye abbia la medesima marezzatura semplicemente perché i capi arrivano da allevamenti differenti.

Ripeto, non sto dicendo che un capo selezionato sia qualitativamente inferiore rispetto ad un capo allevato perché in entrambe le categorie potremo trovare eccellenze ma anche qualità inferiori. Sto dicendo che capi allevati danno dei risultati più o meno costanti in termini di caratteristiche rispetto a quelli selezionati.

Ribeye Wagyu Snake River Farm

Tutto sta in quello che noi cerchiamo. 

Voglio avere una ragionevole certezza di avere sempre la stessa tipologia di carne? Bene, allora devo scegliere un capo allevato dalla farm “madre”. 

Mi può esser sufficiente avere la ragionevole certezza di avere un risultato di qualità ma posso sopportare il rischio di avere seppur sporadicamente differenze importanti nella tipologia della carne? In questo caso posso rivolgermi verso un capo selezionato dalla farm “madre”.

La costanza di risultato è un valore aggiunto rispetto allo standard e quindi è una caratteristica che si paga. Infatti a parità di qualità le farm che allevano direttamente i capi generalmente praticano prezzi superiori rispetto a quelle che li selezionano solamente. 

Il prezzo superiore inoltre genera anche l’effetto che la farm deve ricercare costantemente produzioni di qualità in modo da giustificare agli occhi del consumatore medio la differenza di prezzo e non si può permettere errori grossolani.

Detto questo andiamo a conoscere le farm principali in termini di qualità del prodotto finale e per ognuna vi dirò se alleva o seleziona i capi da cui derivano i tagli che commercializza. 

Tutte le informazioni che sto per scrivere le ho recuperate dai siti internet delle singole farm qualche volta non disponibili in lingua italiana. Quindi sono fatti salvi eventuali errori di traduzione/comprensione.

Principali “farms” USA

KANSAS RANCH –> https://www.quabas.it/brochures/2018/Kansas_Ranch_USA_ITA.pdf –> marchio appartenente al gruppo Quabas (import/export di carni fresche e congelate con sede in Castelvetro Piacentino) e commercializzato dalla “Black Angus Premium Farms Srl” società appartenente al medesimo gruppo. Nella brochure presente sul sito viene evidenziato che “i capi utilizzati nella nostra produzione, selezionati in base ad elevati criteri ed allevati secondo standard di benessere più rigorosi, garantiscono il nostro obiettivo primario: la sicurezza alimentare e la completa soddisfazione del consumatore finale”. Più avanti si dice che “K. Ranch è un programma che, grazie alla rigorosa selezione dei migliori capi di Black Angus provenienti dal midwest degli Stati Uniti, unita ad una dieta specifica di alimentazione a mais, garantisce il massimo risultato in termini di tenerezza e gusto”. Quindi Kansas Ranch è un marchio che identifica un programma che seleziona bovini in base a rigidi parametri qualitativi

SELEZIONATORE – BLACK ANGUS USA

GREATER OHAMA –> https://greateromaha.com/ –> produttore operante dal 1920, nome completo “Greater Ohama Packing”. Nella home del sito si legge “Greater Ohama Packing processa 2.400 capi al giorno della migliore e più alta qualità.” Scorrendo verso il basso troviamo “tutti i nostri bovini provengono da meno di 200 miglia rispetto alla nostra sede in Ohama, Nebraska, il cuore dello Stato dalle migliori mucche”. Nella sezione relativa ai “produttori” sono presenti 11 diversi allevatori dai quali Greater Ohama Packing seleziona i capi. Quindi sostanzialmente si tratta di una società che si occupa di macellazione e di distribuzione. 

SELEZIONATORE – BLACK ANGUS USA

CREEKSTONE FARMS –> https://www.creekstonefarms.com/ –> produttore focalizzato sulla qualità superiore dei prodotti ed infatti ha uno dei pochi programmi certificati da USDA (Creekstone Farms Premium Black Angus Beef program). Nella sezione “our story” del sito si legge “i nostri bovini sono selezionati a mano per essere il meglio del meglio e rappresentano la vera genetica del Black Angus. Solo 1 bovino su 100 rappresenterà il marchio Creekstone Farms”. Quindi anche in questo caso siamo di fronte ad un selezionatore e non ad un allevatore ma con una particolarità importante. Curiosando nella sezione “our products” viene evidenziato che “i bovini provengono dalla genetica Black Angus di Creekstone Farms verificabile dalla documentazione consegnata dagli allevatori partner” e “la genetica proprietaria Black Angus, tra le migliori del settore, funge da punto di riferimento della qualità del nostro programma”. Ecco la differenza sostanziale fra Creekstone Farms e gli altri selezionatori: hanno a disposizione un codice genetico proprietario sul quale basare la scelta dei capi che non avviene, quindi, soltanto per colore od altre caratteristiche fisiche. 

SELEZIONATORE e PROPRIETARIO DI CODICE GENETICO – BLACK ANGUS USA

BLACKSTONE WAGYU –> https://www.quabas.it/brochures/2020/Blackstone%20Wagyu%20ENG.pdf –> altro marchio del gruppo Quabas e commercializzato dalla stessa Black Angus Premium Farms Srl. Nella brochure si legge “cresciuto nei ranch che selezioniamo nel cuore degli Stati Uniti”. Non si fa menzione a criteri di selezione ne’ di protocolli di alimentazione ed allevamento

SELEZIONATORE – WAGYU USA

SNAKE RIVER FARMS –> https://www.snakeriverfarms.com/ –> sul sito si legge che l’azienda fu fondata nel 1968 con l’acquisto delle mangiatoie “Snake River” in Idaho. Il primo programma Wagyu fu creato nel 1988 con il nome Snake River Farms. Nel 2016 è stato costruito il centro di sviluppo per tori in modo da incrementare la qualità dei Wagyu. SRF controlla l’intera catena di approvvigionamento: dai ranch dove vengono allevati i capi fino ai macelli, senza dare lavorazioni a terzi. SRF si definisce “pioniera nel Wagyu USA. Diventare un pioniere non vuol dire fare il lavoro nel modo più facile ma significa fare il lavoro nel modo corretto”. 

ALLEVATORE – WAGYU USA

Principali “farms” Australia

ANGUS RESERVE AUSTRALIA –> https://www.angusreserve.com.au/ –> siamo di fronte da un altro marchio del gruppo Quabas sempre commercializzato dalla Black Angus Premium Farms Srl. Per questo particolare marchio è stato creato un sito internet dove si legge “siamo differenti perché siamo l’unico marchio Verified Black Angus integrato verticalmente sul mercato. Questo significa che possediamo e gestiamo tutte le operazioni. Dalla relazione con i nostri allevatori di Angus…” e successivamente “abbiamo lavorato duramente con ognuno degli allevatori di Angus per le migliori relazioni”. Quindi si tratta di un marchio che seleziona capi di Black Angus verificati. 

SELEZIONATORE – ANGUS AUSTRALIA

OAKEY RESERVE e OAKEY PREMIUM WAGYU –> https://www.quabas.it/brochures/2018/OAKEY_Reserve_ITA.pdf e https://www.quabas.it/brochures/2018/Wagyu_ITA.pdf –> altri marchi del gruppo Quabas commercializzati dalla medesima società. Nella brochure dell’Oakey Reserve è scritto “Il macello Oakey è uno degli stabilimenti di lavorazione del bovino più grandi e avanzati in Australia” e più avanti “i nostri animali sono in prevalenza di razza britannica da carne ovvero Angusy, Hereford e Murray Grey. Nella brochure del Oakey Premium Wagyu, invece, “NH Foods seleziona i migliori  Wagyu australiani per offrire carne di qualità straordinaria”.

SELEZIONATORE – ANGUS e WAGYU AUSTRALIA

JACK’S CREEK –> https://www.jackscreek.com.au/ –> azienda operativa dal 1852. Nella sezione “about us” del sito si legge che inizialmente era specializzata in macellazioni e dagli anni ’70 attivi anche nell’allevamento di bovini a seguito acquisto di una proprietà chiamata Big Jack’s Creek. Fino al 1990 ha continuato ad allevare esclusivamente Black Angus ma nel 1991 ha iniziato ad incrociare i suoi capi con dei maschi di Tajima Wagyu della prefettura di Hyogo. Per questo è stata una delle prime farm a commercializzare anche wagyu. Ad oggi Jack’s Creek alleva e processa sia prodotti Black Angus che Wagyu. 

ALLEVATORE – ANGUS e WAGYU AUSTRALIA

RANGERS VALLEY –> https://www.rangersvalley.com.au/ –> nella sezione “about” del sito viene subito chiarito che “noi acquistiamo solamente manzi Black Angus e incroci Wagyu da fornitori selezionati” poi che “la nostra posizione provvede condizioni ottimali per i bovini” e infine che “Noi otteniamo la massima marmorizzazione con razioni specifiche di grano per permettere una crescita dei capi ad una velocità normale”. Quindi si può dire che la farm acquista i capi (sia BA che cross) e poi alimenta per arrivare ad una marmorizzazione ottimale (circa 270 giorni per un Black Angus e 350 per un Wagyu). I marchi più conosciuti della farm sono il Black Onyx, il Black Market e il WX. Una nota di colore: l’attività nasce nel 1838 come allevamento di pecore da lana e nel 1845 si potevano contare 13.500 pecore e 335 mucche. Ad oggi si contano circa 40.000 mucche su una superficie di 12.000 acri. 

ALLEVATORE – BLACK ANGUS e WAGYU AUSTRALIA

Conclusioni

Come conclusione vi espongo un concetto già espresso in precedenza ma che adesso potrete affiancare ad ogni farm che vi ho presentato.

Ci sono differenze di prezzo anche importanti fra diversi marchi che commercializzano lo “stesso” prodotto (inteso come razza di bovino) ma la discriminante fra loro e l’essere allevatore oppure selezionatore

Un allevatore ha il controllo totale della filiera produttiva partendo dall’alimentazione, proseguendo con la ricerca dell’ambiente di allevamento migliore ed arrivando poi alla macellazione e quindi può assicurare un certo standard di prodotto finale e soprattutto una “costanza di qualità”. 

Inoltre visto il prezzo mediamente più elevato del prodotto deve limitare al minimo eventuali errori che possano ripercuotersi sul “profilo premium” che si è creato.

Un selezionatore, invece, affida i protocolli di alimentazione e cura degli animali ad allevatori terzi e poi selezionare i capi che più si avvicinano al proprio programma ma questa “selezione” senza controllo diretto può far aumentare la probabilità di avere livelli di qualità non costanti fra un capo ed un altro

Quindi a voi la scelta: 

  1. volete un prodotto “premium” che vi garantisca costanza di qualità e siete disposti a pagare un sovrapprezzo per questa caratteristica? Bene, allora scegliete senza indugio allevatori o selezionatori proprietari di codice genetico e quindi buttatevi senza indugio su Snake River Farms, Creekstone Farms, Jack’s Creek, Rangers Valley.
  2. volete un prodotto qualitativamente buono o eccellente ma siete disposti a sopportare il rischio di una eventuale differenza qualitativa ogni volta che lo acquistate? I selezionatori possono essere la scelta giusta per voi e quindi optate per gli altri marchi.

Piccoli griller crescono

Agli occhi di un bambino un dispositivo barbecue può sembrare un mostro infernale: carbone, fuoco, fiamme e fumo. Vi ricordate la stufa mostruosa del film “Mamma ho perso l’aereo”? Tutte le volte che Kevin scendeva le scale della cantina e si avvicinava all’elettrodomestico questo accendeva la legna e apriva la protezione in ghisa come a voler mangiare il malcapitato bambino.

Stufa Ghisa

Ecco… se rendiamo partecipi i bambini della nostra passione, ovviamente con le cautele del caso, potremo avere delle belle soddisfazioni e potremo passare del tempo in spensieratezza.

Certo, se tutti fossero apprensivi come me i nostri figli griglierebbero ai 18 anni e con protezioni da fonderia!!

Precauzioni da tenere con i nostri griller in erba

Va da se che questa avventura va affrontata con la massima precauzione possibile e seguendo la “diligenza del buon padre di famiglia”. Non vorremo mai che una bella giornata in famiglia si trasformi in un disastro.

Quindi è opportuno che sia un adulto a preparare il dispositivo per la cottura: l’uso di accenditori, accendini, ciminiera di accensione, bombole del gas e altri oggetti similari deve essere precluso ad un bambino.

In più dobbiamo cercare di sistemare la postazione in modo tale da limitare la probabilità di accadimento di incidenti: il dispositivo va messo su una superficie stabile, eventuali sedie necessarie a far arrivare il bambino all’altezza della griglia devono essere ben stabili e non allontaniamoci MAI dalla postazione lasciando il bambino libero di grigliarsi le manine!

Questo è un elenco di cose da fare puramente indicativo e pertanto non esaustivo rispetto alle precauzioni da tenere.

Weber smokey joes

Accessori indispensabili per una grigliata a misura di bambino

Tutti gli accessori che usualmente utilizziamo non sono sempre adattabili all’utilizzo da parte di un bambino o comunque necessitano di qualche aggiustamento.

Le pinze, per esempio, devono essere di una lunghezza tale da poter essere usate in sicurezza da parte delle braccine corte dei bambini (precisazione: non è un riferimento alla loro tirchieria ma proprio alle loro dimensioni). Per fortuna sul mercato sono presenti tantissimi modelli di lunghezze differenti. Stesso discorso vale anche per spatole ed accessori similari.

Inoltre, per proteggere le delicate estremità dei bambini dal calore del fuoco, è opportuno valutare di far indossare dei guanti resistenti alle alte temperature. Anche se ormai le nostre braccia sono praticamente glabre e non abbiamo più impronte digitali sui polpastrelli, quelle dei bambini sono ancora intatte!

A tutto questo aggiungete anche un grembiule spesso in modo che, anche in caso di contatto accidentale con il dispositivo, il bambino possa non avere conseguenze.

 

 

Tuta ignifuga

Cosa grigliare

Ma quali sono gli alimenti più facili da grigliare per i nostri piccoli griller?

Direi innanzi tutto di partire con cotture dirette perché necessitano di minori accortezze e meno abilità tecniche.

Predilite alimenti che possano generare meno fiamme possibili per evitare incidenti da inesperienza e comunque create sempre una safe zone a portata di bimbo. Restate a sorvegliare ogni movimento del bambino: ancora non hanno la nostra capacità critica (o meglio… quella che dovrebbe avere un adulto) necessaria a fronteggiare emergenze.

Io vi consiglio di iniziare con degli hamburger. Si tratta di un alimento tutto sommato semplice da grigliare: basta girarli spesso ed evitare che cadino tra i tondini della griglia. L’importante è metterne in cottura una piccola quantità in modo che il bambino con i suoi modi impacciati possa comunque operare con tranquillità: nulla vi vieta di fare una grigliata a 4 mani.

Anche il pollo o i wurstel possono fare al caso nostro. Hanno pochi grassi e quindi permettono una cottura in sicurezza.

Insomma, sta al vostro occhio esperto identificare le criticità nella gestione degli alimenti da parte del bambino ed agire di conseguenza.

Hamburger bruciati

La mia esperienza personale

Vi racconto come ho fatto io a far avvicinare mio figlio di 7 anni alla cottura su barbecue.

Ho preparato con cura questo momento di condivisione per cercare di non lasciare nulla al caso ma nonostante la mia perizia già vi dico che il detto “se qualcosa può andare storto allora siate certi che ci andrà!” è sempre valido.

Per questa occasione ho utilizzato il Weber Go Anywhere a carbone che tengo in garage. Le dimensioni contenute mi hanno permesso di rendere più piccola la quantità di alimenti contemporaneamente in griglia e, al contempo, rendere facile il trasporto anche da parte di mio figlio. D’altronde deve imparare anche quali accessori utilizzare e come spostarli!

Quindi siamo andati insieme in garage, abbiamo preso la ciminiera piccola e l’abbiamo riempita di carbone di piccola e media pezzatura (ho spiegato che i pezzi più grandi vanno sotto e quelli più piccoli vanno sopra) e poi ho fatto svuotare a mio figlio il contenuto nel dispositivo. Immediatamente si è alzata una nuvola di polvere perché, ovviamente, non ha compiuto l’operazione delicatamente. Al che ho affermato: “vedi Norberto (nome di fantasia)? Se la ciminiera fosse stata piena di carbone acceso cosa sarebbe successo?”. E lui “niente babbo, perché l’avresti svuotata te!”. Perspicace il bimbo…

Poi abbiamo preso un sacco e ci abbiamo messo tutto l’occorrente: pinze, accenditori, leccarde e, soprattutto, la spazzola. Il bambino deve subito capire che dopo il piacere viene il dovere (o era il contrario?) e che quindi che dopo ogni cottura va pulita la griglia.

Il dispositivo l’ho fatto portare a lui mentre la più leggera borsa l’ho portata io: è bene che sia chiaro che i sacchi da 25kg di carbone non si spostano da soli e quindi è necessaria una quanto meno accettabile forma fisica.

Arrivati in terrazza gli ho fatto preparare il dispositivo per l’accensione: appoggiare la ciminiera sulla griglia carboni libera e riempirla di carbone con le pinze, mettere due accenditori sotto alla ciminiera ed allontanarsi. Gli ho anche spiegato dell’importanza di accendere la ciminiera il più vicino possibile alla terra per evitare che le scintille possano incendiare altri oggetti e che sia un po’ più riparata dal vento.

Ovviamente appena detto ciò è venuta una folata similare a quella generata dalla galleria del vento della Ferrari ma fortunatamente le scintille non hanno fatto danni: la prevenzione funziona.

Una volta pronto il carbone l’ho riversato nella griglia carboni e ho appoggiato il dispositivo sul tavolino che ho in terrazza. Ho mandato mio figlio a prendere la carne e gliel’ho fatta asciugare ben bene con carta assorbente. Già che aveva le mani “sporche” ho approfittato per fargliela massaggiare un po’ con l’olio di semi (cosa che gli è piaciuta molto perché i bambini più “intrugolano” con le mani e meglio stanno).

Una volta disposti gli hamburger in griglia ho iniziato a farli muovere e girare al bimbo: gli ho spiegato l’importanza di non fare fiammate e di rigirarli spesso per fare una bella crosticina fuori ma cuocerli bene dentro. La cottura è andata meglio del previsto ed infatti solamente 2 dei 6 hamburger grigliati hanno subito qualche danno da manovra di rotazione incauta.

Dopo tutta la fatica fatta mio figlio ne ha mangiati due ed ha affermato: “babbo, cosi sono buoni… ma mangiati senza sforzo di cucinarli sono ancora più buoni!”. A posto, missione trasmissione passione (one… one… one) fallita miseramente. Riproverò più avanti.

Siberini fai da te? E che ci vuole!

La calura estiva sta per cessare ma rimane lo stesso il problema di conservare al meglio le nostre cibarie o di tenerle al fresco anche per un semplice trasporto.

I siberini

Per poter sfruttare al meglio le funzioni dei frigoriferi portatili e delle borse termiche è sempre opportuno utilizzare quelle specifiche mattonelle che si trovano in commercio e che si ripongono, una volta congelate, assieme alla vivande da tenere in fresco.
Sono chiamate siberini, polaretti o piastre eutettiche e vengono preriempite con un’apposita miscela di glicole propilenico, a volte liquida, a volte in forma di gel, che ha la particolare caratteristica di congelare a temperature inferiori agli 0ーC e di mantenersi a temperatura costante finchè non si è del tutto scongelata.

Versione casalinga

Ho chiesto a Dario Marchi, appassionato di chimica e di autoproduzioni di svelarci una ricetta casalinga per produrre i propri siberini.

“Una miscela con caratteristiche molto simili a quella che utilizzano i siberini commerciali non è una cosa tanto difficile da autoprodursi: a posto del glicole propilenico, nel fai da te, possiamo utilizzare l’alcool etilico denaturato (quello rosa) e riciclare allo scopo una bottiglia, in plastica resistente, che conterrà la miscela.

La ricetta

Ecco qui l’occorrente per ottenere 1 kg di miscela refrigerante che congelerà a una temperatura di circa -5ーC:

– 200 gr di alcool etilico rosa
– 800 gr di acqua del rubinetto

Il procedimento è ovvio: si mischia l’alcool con l’acqua e si imbottiglia.

E’ raccomandabile lasciare sempre, nel flacone o nella bottiglia che utilizzeremo, un po’ di aria per evitare la rottura del flacone col congelamento e incollare il tappo con del silicone.

Personalmente, ho preferito gelificare la miscela aggiungendoci mezzo cucchiaino da caffè di gomma xanthana e frullando il tutto. Se volete, potete reperire la gomma xanthana online o in negozi che vendono prodotti per ciliaci.

Abbiamo speso molto poco e potremmo così produrre tutti i siberini che ci servono!

Non male, vero?”

Sondaggio sul mondo del BBQ – 2018

Correva l’anno 2017, precisamente il mese di marzo, quando proposi un sondaggio sulle abitudini degli utenti del gruppo BQ4ALL Community (link).

All’epoca eravamo 7500 iscritti e risposero in 139 (ben l’1,84%).

Dopo più di un anno ho riproposto lo stesso sondaggio in modo da verificare se e come si sono modificate le abitudini.

Gruppo BBQ4ALL Community e numero intervistati

Il gruppo ad oggi conta circa 36.500 membri. La divulgazione di tecniche e conoscenza è diventata giornaliera e gli utenti iscritti aumentano in maniera costante.

Al sondaggio hanno risposto in 2.003 (pari al 5,49%). In pratica una persona ogni 18 circa. Un risultato ben migliore della precedente edizione.

Rapportandolo alla popolazione italiana è come se circa 3,3milioni di persone avessero deciso di impiegare un minuto del loro tempo a rispondere alle richieste.

Numero di dispositivi e combustibile utilizzato

Rispetto al 2017 prevalgono sempre gli utenti possessori di un singolo dispositivo (53,3%) ma questa volta sono la maggioranza. L’ampliamento della quantità e qualità della divulgazione di conoscenze e l’effetto passaparola hanno avuto come esito l’entrata nel gruppo anche di utenti che fino a qualche momento prima intendevano la grigliata come il buttare la ciccia sulla griglia. Normalmente questo tipo di utenti ha a disposizione un solo dispositivo e molto spesso una griglia tradizionale (o con il coperchio utilizzato come protezione alle griglie piuttosto che come strumento).

Questi utenti hanno iniziato il loro percorso di crescita personale e quindi “presto” sentiranno la necessità di cambiare dispositivo o di ampliare il proprio parco macchine.

Per quanto riguarda il combustibile il gas ha recuperato terreno sul carbone che, comunque, resta il preferito. In leggero aumento gli utilizzatori di dispositivi elettrici.

Luogo di acquisto e spesa per il singolo dispositivo

Rispetto al 2017 il comparto online ha perso terreno rispetto ai negozi tradizionali (è sceso dal 54,7% al 36,3%). I negozi fisici sono diventati il principale canale di vendita (Fai da te 23,8% e specializzato 30,9%).

Molto spesso i rivenditori inseriscono delle promozioni sulla vendita che, anche se si distaccano talvolta da quelle presenti online, riescono comunque ad avere risultato grazie alla professionalità dei venditori ed agli show cooking che fanno toccare con mano agli acquirenti le possibilità dei vari dispositivi. Per poche decine di euro di differenza gli acquirenti preferiscono il negozio fisico anche per eventuali utilizzi della garanzia.

Presenti anche dei costruttori di dispositivi (4,90%) e mercato dell’usato in crescita (3,60%).

La spesa più frequente per il dispositivo si conferma fra i 101 e i 400 euro (44%) e si conferma anche il fatto che la maggioranza degli intervistati si colloca nelle fasce di prezzo alte. Questo dato è influenzato sia dal fatto che la qualità si paga sia perché all’aumentare dei dispositivi a gas inevitabilmente aumenta il prezzo di acquisto medio (i dispositivi a gas di qualità sono più costosi rispetto ai “cugini” a carbone).

Nonostante ciò è in aumento anche la fascia di utenti che preferisce un dispositivo economico soprattutto per iniziare il percorso di crescita (dal 6,3% si passa al 8,4%).

Numero di grigliate annue

Quanto si griglia mediamente in un anno?

La maggioranza degli utenti non griglia nemmeno una volta a settimana (75,10%).

Il comparto bbq risente, da sempre, della stagionalità e non tutti gli utenti sono attrezzati per una grigliata con temperature fredde o ancor peggio sotto alle intemperie (inoltre il brutto tempo non invoglia proprio alla grigliata).

C’è sempre qualche utente eroico che riesce a fare oltre 80 grigliate all’anno (10,8%) ma c’è anche chi, per mancanza di tempo oppure perché si è avvicinato da poco a questo mondo, che griglia meno di 10 volte all’anno (10,8).

Pietanza grigliata e tipo di carne preferita

Ma cosa si griglia?

Il 98,6% degli intervistati sceglie la carne per le proprie grigliate (nel 2017 era l’89,2%). C’è chi segue una stagionalità certa (carne/inverno e pesce/estate) e chi si sta avvicinando al mondo della pizza e panificazione (cereali).

Il maiale si conferma il re della griglia: nel 2017 veniva scelto dal 51,1 degli intervistati e adesso dal 51,4%. Il pollo/tacchino perde terreno (dal 7% circa al 4% circa) in favore del manzo (dal 41,7% al 43,5%).

La tradizione italiana è quella della grigliata di carne e questo risultato si vede anche sui post pubblicati sul gruppo. Gli argomenti trattati sono principalmente i tipi di carne e le loro preparazioni.

Recentemente, con l’attivazione della class mail (link), anche il pesce e le verdure hanno iniziato a trovare il loro spazio sulla griglia con consigli pratici per arrivare ad un risultato perfetto.

Chi griglia e chi pulisce

Anche nel 2018 l’uomo è il re della griglia (98% degli intervistati). Qualche utente precisa che “il grilling non ha genere”, qualcuno ammette “chi lo sa fare meglio” mentre alcuni rispondono semplicemente “IO”.

Si incrementa il numero di uomini che puliscono il dispositivo (93%) ma qualcuno continua ad “approfittarsi” di una donna per la pulizia. C’è anche un elevato numero di risposte del tipo: “non si pulisce” o “ad oggi mai pulito” a riprova del fatto che spesso per l’ordinaria pulizia può bastare del fuoco con una spazzola di ferro.

Dove e quando si griglia

Qual è il luogo preferito per le nostre grigliate? Il giardino. Il 69% degli intervistati ha indicato questo luogo come quello di massimo utilizzo.

In effetti cosa c’è di meglio di una bella grigliata all’aria aperta? Oltre al giardino ci sono state anche altre risposte che confermano questo fatto: parco, area comune, campeggio, campo, spiaggia, etc.

In aumento la percentuale dei grigliatori da terrazzo (dal 20,1% al 27,8%): l’utilizzo del gas e l’avvento di tecnologie in grado di minimizzare il fumo in accensione del carbone stanno rendendo sempre più facile la grigliata anche a chi non possiede un giardino. Ciminiere elettriche, accenditori elettrici, bbq con produzione di fumo ridotta sono tutti accessori il cui mercato è in espansione.

Ma quando si griglia?

Il 78% degli intervistati preferisce il week end: in questo modo c’è più tempo da investire per la grigliata e c’è più possibilità di incontrarsi con amici e parenti. La domenica viene preferita rispetto al sabato.

Non manca chi griglia “sempre”, “quando capita”, “qualsiasi giorno”, “ogni giorno è buono”, “quando mi sale la scimmia”. Diciamo che un buon 10% non si fa problemi nel grigliare anche infrasettimanalmente.

Le mie risposte

Al momento ho a disposizione un solo dispositivo che va a carbone e che ho comprato in un negozio Fai Da Te e che ho pagato intorno ai 100€ (Weber Smokey Joe).

Mediamente griglio una volta a settimana (quindi dalle 41 alle 60 annuali), in prevalenza carne di manzo.

Griglio io e pulisco io (se voglio continuare a grigliare…) e lo faccio esclusivamente in terrazzo nei fine settimana.

Carbone parzialmente combusto: si può riutilizzare?

Gettare via del carbone non completamente bruciato è sempre uno spreco. Quindi la possibilità di risparmiare qualcosa è sempre ben accetta.

La domanda che a cui cercherò di rispondere è: risparmiare combustibile utilizzandone in parte uno “usato” inficerà la qualità delle mie cotture?

Si può riutilizzare il carbone parzialmente combusto?

La risposta breve è “SI”.

La possibilità di riutilizzare il carbone è uno dei vantaggi di avere un dispositivo che utilizza questo combustibile.

Appena finita la cottura dovrai chiudere tutte le ventole del tuo dispositivo e lasciare che il combustibile si spenga. Per velocizzare il processo potresti trasferire il carbone in un secchio metallico e chiuderlo con un coperchio. Più piccolo è il contenitore e meglio sarà perché la quantità di aria in grado di alimentare la combustione sarà inferiore.

Mi raccomando: non utilizzare acqua per spengere il carbone (a meno che non sia una situazione di emergenza)! La cenere, in combinazione con l’acqua, potrebbe favorire la ruggine oltre ad ostruire le ventole.

Il “vecchio” carbone brucerà come il “nuovo”?

Finché i pezzi di carbone sono ancora solidi e li conservi in un luogo asciutto allora non avrai problemi per il loro riutilizzo. In realtà anche se dovessero prendere umidità basterà aggiungere del carbone asciutto già acceso: in questo modo il calore generato dalla combustione asciugherà la parte umida.

Tuttavia devi considerare il carbone vecchio avrà una resa in termini di temperatura massima inferiore rispetto al carbone nuovo. Questo perché sicuramente i pezzi che riuscirai a riutilizzare saranno più piccoli e quindi si posizioneranno molto vicini gli uni agli altri diminuendo il flusso d’aria che circola fra di loro.

Se necessiti, quindi, di una temperatura di cottura molto alta allora dovresti prendere in considerazione l’utilizzo di solo carbone nuovo e rimandare l’utilizzo di quello vecchio ad altra occasione. Ma per una cottura a medio o bassa temperatura non ci saranno problemi.

Come si identifica il carbone riutilizzabile?

Per determinare se vale la pena conservare i pezzi di carbone potrai provare a stringerli con le pinze. Se sono inutilizzabili si sgretoleranno viceversa manterranno la loro consistenza.

Prima di riporre il carbone cerca di diminuire la cenere presente sulla superficie. Questo strato impedirà un perfetto innesco all’accensione.

Dove si ripone il carbone da riutilizzare?

Il modo in cui andrai a riporre il carbone dipende in gran parte da quando prevedi di riutilizzarlo. Se in breve tempo accenderai di nuovo il bbq allora potresti anche lasciarlo nel dispositivo. Questo è un modo rapido e semplice per conservarlo al riparo dall’umidità (chiudendo il coperchio del dispositivo e tutte le ventole).

Se invece utilizzerai il tuo bbq per un po’ di tempo allora un secchio in metallo con coperchio potrebbe essere la soluzione giusta. Zero rischi di umidità e facilità di trasporto.

Come ci si deve comportare con le bricchette?

Se utilizzi la ciminiera di accensione puoi fare una specie di sandwich: prima metti uno strato di bricchette nuove, poi uno strato di bricchette vecchie e sopra un altro strato di quelle nuove.

In questo modo gli spazi che si creeranno fra bricchette nuove e vecchie permetteranno un perfetto flusso di aria.

Le bricchette da riutilizzare sono più facilmente individuabili rispetto al carbone. Basta scegliere quelle residuate ad almeno la metà della dimensione di partenza. Anche in questo caso cerca di ridurre al minimo la cenere superficiale.

Ricapitolando

  1. Puoi riutilizzare tranquillamente il tuo vecchio carbone.
  2. Cerca i pezzi più grandi, verifica la loro integrità ed elimina più cenere possibile.
  3. Conserva il tuo carbone al riparo dall’umidità.
  4. Se utilizzi le bricchette ricorda di accendere un mix composto da circa 2/3 di quelle nuove ed 1/3 di quelle vecchie.


 

Bistecca di manzo “non convenzionale”: flat iron steak

Oggi parliamo di una bistecca di manzo “non convenzionale”: la flat iron steak.

Questa bistecca si ricava dal cappello del prete o sorra. Questo taglio è caratterizzato da una linea di tessuto connettivo centrale che corre parallelamente al muscolo.

Tradizionalmente viene utilizzato per stufati e brasati, cioè cotture finalizzate allo scioglimento del tenace tessuto connettivo.

Cappello del prete

Se però fate eliminare al vostro macellaio tutto il connettivo, dividendo in due il taglio, otterrete due flat iron steak pronte da grigliare.

Il sapore della bistecca è molto intenso e risulta tenera alla masticazione. A patto di non stracuocerla. Il grado di cottura ottimale è rare o medium-rare (sangue oppure a metà strada tra sangue e media cottura). Temperatura al cuore target dai 52°C ai 58°C.

Flat Iron Steak

 

Preparazione

Ho applicato al taglio la tecnica del Dry Brining:  ho cosparso di sale la carne (nella stessa quantità che avrei utilizzato successivamente alla cottura) e lasciato riposare in frigorifero 2 ore. Tutto questo per amplificare il sapore della carne e per prepararla alla cottura. Se volete sapere di più sulla tecnica del Dry Brining vi consiglio la lettura dell’articolo pubblicato sul sito BBQ4ALL.it (link).

In circa metà del taglio ho cosparso del rub Oakridge Carne Crosta e nella rimanente metà solamente sale, in modo da avere due sapori differenti.

Flat Iron Steak

Cottura

Dopo aver ben asciugato la superficie e dopo averla cosparsa con un velo d’olio si mette la carne in cottura diretta veloce fino al raggiungimento della temperatura al cuore desiderata. Io mi sono spinto fino ai 50/52°C al cuore.

Sicuramente ho preferito la metà cosparsa con il rub Carne Crosta perché ha assunto una complessità di sapori maggiore. Ma anche la parte al naturale ha fatto la sua bella figura.

Flat Iron Steak

Flat Iron Steak

 

Approfondimento: i chunk da affumicatura esotici

Se avete letto i miei articoli sull’affumicatura (link) e sul giusto legno da abbinare ad ogni pietanza (link) vi sarete di sicuro imbattuti nella definizione di chunk e di legni non tradizionali.

Cosa sono i chunk

I chunk non sono altro che pezzetti di legno di varie dimensioni da utilizzare per l’affumicatura. I vantaggi del loro utilizzo rispetto alle chips (sfoglie di legno) sono molteplici ma i principali sono:

  1. Maggior durata e stabilità del fumo;
  2. Minor rischio di combustione incompleta.

Come si utilizzano

L’utilizzo dei chunk è estremamente semplice: si mettono direttamente sul combustibile acceso o sulla griglia di cottura in corrispondenza del combustibile. La scarsità di ossigeno nell’ambiente permetterà la loro combustione incompleta. In caso di utilizzo di minion method o di snake altri pezzi potranno esser mesti sopra al combustibile spento in modo da farli fumare al bisogno. Così eviterete anche di dover aggiungere periodicamente legno da affumicatura.

Legni utilizzati

I chunk sono disponibili in quasi tutte le varietà dei legni da affumicatura. Nella grande distribuzione troviamo, però, solamente i più comuni: melo, ciliegio e hickory.

Grazie ad un mio amico, titolare di una liuteria (Biarnel di Emiliano Nencioni), sono riuscito a mettere le mani su legni esotici, alcuni di questi introvabili ai non addetti del settore.

Poiché si tratta di legni stagionati per almeno 20 anni e quindi con un grado di umidità veramente minimo, il fumo prodotto sarà inferiore rispetto ai chunk commerciali. Nonostante ciò sarà molto più ricco di aromi e con meno depositi neri sulle pietanze. Per questo motivo sono tagliati a pezzi piccoli che vanno posizionati sulla griglia di cottura in modo da tostarli senza carbonizzarli.

Legni esotici

Frassino

FRASSINO -> Odore di olio di oliva, pane tostato. Adatto per pollo, maiale, pesce.

Acero

ACERO -> Molto neutro, leggero sapore di nocciola. Adatto per tutto, perfetto per pesce  o usato in blend con essenze più forti

Ontano Americano (alder)

ONTANO AMERICANO (ALDER) -> Forma una base di fumo alla quale aggiungere note particolari. Odore di noce.

Bubinga

BUBINGA -> Intenso odore di vaniglia e liquirizia. Adatto per manzo e maiale. Colora molto la superficie affumicata.

Padouk

PADOUK -> Intenso odore di cocco e vaniglia. Perfetto per il maiale ma adatto anche al pollo. Ottimo anche con le salsicce e per le indirette di circa un paio d’ore. Colora molto la superficie affumicata.

Mogano

MOGANO -> Odore “piccante” e speziato. Perfetto per il manzo specialmente insieme all’ontano. Fantastico su brisket e beef ribs.

Palissandro Santos

PALISSANDRO SANTOS -> Odore di vino speziato, scatola di sigari. Da usare in blend a legni più neutri. Adatto a pesce, pollo e manzo.

Noce

NOCE -> Odore complesso, piccante. Adatto a manzo e maiale in blend con essenze più neutre.

 

 

E voi? Ne avevate sentito parlare?

 

El Chipa

Il suino nero maremmano: alla scoperta di una razza antica

Il suino nero maremmano o “Macchiaiolo Maremmano” è una razza autoctona della Maremma Grossetana. Le sue caratteristiche fisiche particolari, oltre al colore nero, sono un corpo cilindrico ed una particolare cresta di setole dure. E’ stata dichiarata  “razza in grave pericolo di estinzione “ ed è oggetto di un progetto di recupero, avviato nel 2011, per il ripopolamento e successivo allevamento allo stato brado o semi-brado.

Il progetto ha fortunatamente avuto successo e quindi la carne e derivati di questo animale sono disponibili per la vendita ai consumatori.

La storia

Il “Macchiaiolo Maremmano” è considerato fra le razze più primitive e rustiche d’Italia. Si ipotizza la presenza già in epoca etrusca. A quell’epoca popolava tutta la Toscana, il Lazio (suino  “Romano”) e l’Umbria (“Perugina da macchia) ma era maggiormente diffuso in Maremma (nella pianura tra Pisa, Siena , Grosseto e il monte Amiata).

Fino alla prima metà del Novecento si trovano ancora pubblicazioni e scritti a carattere scientifico inerenti la razza ma successivamente venne considerata in pericolo di estinzione.

Da alcuni studi è emersa la perfetta estraneità della razza alla Cinta Senese ma con possibili affinità con il suino nero inglese (parentela dovuta al fatto che nell’Ottocento gli inglesi prelevarono diverse nostre specie per importarli Oltremanica).

Caratteristiche delle carni

Le carni sono tenerissime e succulente (stante l’ottima capacità di ritenzione idrica). Le analisi chimiche, inoltre, hanno evidenziato una netta prevalenza fra acidi grassi insaturi su quelli saturi e l’ottima presenza di omega 6 ed omega 3.

Il colore è più intenso e rosso rispetto a quello della Cinta Senese  ma più chiaro rispetto a quello del suino iberico.

L’associazione

E’ stata creata l’Associazione Allevatori Suino Macchiaiolo Maremmano al fine della tutela e valorizzazione della razza. Il disciplinare creato dall’associazione ha preso spunto quasi per intero dagli antichi metodi contadini rispettosi dei cicli naturali (macellazione da effettuarsi quasi esclusivamente tra dicembre e febbraio, periodo in cui la carne è molto gustosa e particolarmente adatta alla lavorazione).

Io ho assaggiato delle bistecche cucinate alla griglia. Sapore intenso, pieno, veramente differente da quanto trovabile oggi sul mercato tradizionale. Il grasso presente nelle carni non è “pesante” ma, anzi, arricchisce di gusto e umidità la masticazione del boccone. Una volta provato difficilmente verrà dimenticato.

 

El Chipa

 

Corsi di BBQ: la proposta BBQ4ALL

Bene.

Ora che ho avuto la vostra attenzione vi spiego come ottenere i risultati visti nella gallery.

Dovrete partecipare ad alcuni corsi di barbecue. Non basta replicare una ricetta per avere piena padronanza di uno stile di cottura completamente diverso rispetto a quello utilizzato fino ad oggi.

E’ necessario che qualcuno vi indirizzi con consigli, malizie e, soprattutto, vi faccia provare sul campo le tecniche.

Io ho seguito i corsi di BBQ4ALL University, la scuola della più grande community italiana del BBQ.

Come funzionano i corsi BBQ4ALL

I corsi BBQ4ALL sono suddivisi in tre categorie:

  • Grilling Essential –> è un corso gratuito nel quale si evidenziano le particolarità della cottura al bbq. Si fanno le prime distinzioni fra “griglia all’italiana” e cottura in “kettle” con uso del coperchio. I partecipanti potranno assaggiare le preparazioni create per loro dal coach.
  • Grill To Perfection –> in questa categoria ci sono i corsi in cui il partecipante inizia a “sporcarsi le mani”. Sono previsti tre livelli. Nel primo livello si va a trattare la cottura diretta con una parentesi di cottura indiretta. Nel secondo livello si tratterà esclusivamente la cottura indiretta. Nel terzo livello si parlerà di cottura indiretta con una parentesi sull’affumicatura.
  • Smoke To Perfection –> qui sono presenti due livelli entrambi incentrati sull’affumicatura e sulla cottura “low&slow” (cottura indiretta a bassa temperatura). Nel primo livello, “pork”, si tratterà la preparazione di alcuni tagli di maiale mentre nel secondo, “beef”, si utilizzeranno alcuni tagli di manzo.
  • GLC Advance –> sono i nuovi corsi di approfondimento tenuti direttamente dal grill master, nonché fondatore di BBQ4ALL, Gianfranco Lo Cascio (link). Sono nati per chi ha già frequentati i corsi Grill To Perfection ma vuole approfondire le tecniche apprese. Il top di gamma.

Per maggiori informazioni vi consiglio di iscrivervi al gruppo facebook BBQ4ALL (link). Lì troverete un gruppo di appassionati sempre pronti ad aiutarvi e soprattutto tutti i coach ai quali fare riferimento.

Io ho partecipato a tutti i corsi ed oggi sono qui a scrivere e dimostrare cosa sono riuscito ad apprendere e come l’ho messo in pratica!!

Cosa state ancora aspettando?

 

El Chipa

 

La prima grigliata non si scorda mai

Si dice che “la prima grigliata non si scorda mai”.

Confermo.

Non dimenticherò mai il casino che ho fatto.

Piccola premessa. Prima di approdare al mondo del carbone/carbonella/bricchette utilizzavo un kettle elettrico. Si… avete letto bene. Ho scritto kettle elettrico. Non era una bistecchiera perché con un ingegnoso sistema raggiungeva tranquillamente i 350°, non era una griglia perché aveva anche il coperchio. Era un vero e proprio kettle da 2200w di potenza (con grandi sorrisi ed abbracci da parte di Enel. Ormai ero diventato uno dei loro clienti migliori e le bollette mi arrivavano foderate di velluto).

Successivamente, grazie ad un gruppo Facebook di “detonati” (BBQ4ALL vi dice qualcosa? Male! Andate di corsa ad iscrivervi!), ho iniziato ad apprezzare il “mondo del carbone” fino ad allora guardato con rispettoso timore.

Dopo i vari corsi seguiti, Grill To Perfection e Smoke to Perfection, decisi che era l’ora di evolvermi verso il carbone. In realtà, storicamente parlando, era più una regressione passare dall’elettricità al carbone ma nel mio caso è stata una evoluzione. Finalmente potevo permettermi cottura che fino ad allora potevo solamente immaginare.

Ho acquistato un kettle Weber One Touch Premium 47 usato da un mio amico (peraltro conosciuto nei corsi) e mi sono avventurato nella prima grigliata. Ebbi la brillante idea di cimentarmi in un Baltimora Pit Beef (link alla ricetta), preparazione ad oggi considerata semplice, ma allora assai complicata per un neofita del “fuoco”.

Presi il girello di manzo, lo “trimmai” (più che un trimming fu uno squartamento) ed iniziai a preparare il Pit Beef Rub (link alla ricetta), un rub semplice da preparare. Ho detto semplice, non facile! Tra ciotole, spezie, cucchiai, cucchiaini e mixer avevo trasformato il piano della cucina in un deserto. Non sabbioso ma rubboso. Polvere ovunque. Già potevo sentire le offese di mia moglie che stava ben lontana in un’altra stanza (per evitare risse). Comunque rimisi tutto a posto altrimenti sarebbe stata la mia prima ed ultima preparazione.

A questo punto andai a preparare il dispositivo. Non avendo un giardino sono costretto a grigliare sulla terrazza e, fortunatamente, sono al secondo ed ultimo piano di un condominio. Per evitare discussioni ho dovuto comprare il kit zero smoke della Rosle (link alla recensione) che mi assicura assenza di fumo in fase di accensione bricchette.

Creai una specie di snake all’interno del kettle che più che un serpente assomigliava ad una massa informe curvata a seguire il profilo del dispositivo (e forse nemmeno era necessario per il Baltimora). Misi le bricchette nella ciminiera e accesi il tutto. Non sapendo quanto fosse la resa delle bricchette Rosle ho riempito una ciminiera piccola Weber (circa 20 bricchette). La temperatura target doveva essere di 130°C misurati con un termometro a sonda IKEA (link al articolo “i termometri”).

Appena pronte le bricchette le riversai, tutte, all’interno del kettle ad una estremità dello snake. Chiusi il coperchio ed aspettai per verificare la temperatura in griglia. Non ricordo a quanto arrivò ma sicuramente ben al di sopra del mio target (infatti il termometro iniziò a trillare come una sveglia impazzita).

Allora iniziò la “danza della bricchetta”. Togli 10 bricchette, aspetta, aggiungi 5 bricchette, aspetta. Chiudi parzialmente le ventole, metti due bricchette e togline una dopo aver aperto per metà le ventole. Aspetta. Aggiungine 3 anzi no 3 sono troppe. Mettine due. Apri tutta la ventola di sotto e metà quella di sopra. Aspetta. Aspetta. Aspetta.

Morale della favola… un’ora di armeggiamento per sistemare la temperatura (fortunatamente adesso mi sono scritto tutto, almeno parto avvantaggiato). Nel frattempo la terrazza era diventata simile ad una spiaggia di polvere di pietra lavica. Nera. Completamente nera. A tratti affioravano le mattonelle, beige.

Rubbato il girello lo metto in griglia dopo averlo infilzato con un altro termometro ikea e via.. si parte. Aggiunsi le chips per affumicare e chiusi il coperchio.

Mentre aspettavo la cottura, e sentendo la mia moglie che continuava ad offendermi da dentro casa, sistemai tutta la terrazza (comprese cose che non avevo toccato in modo da guadagnarmi un jolly da spendere in futuro).

Miracolosamente la temperatura rimase costante e la cottura procedeva regolare, il kettle fumava e io pulivo!

Finalmente il trillo tanto aspettato. La carne raggiunse i 52°C al cuore. Era ora di toglierla, farla riposare e mangiarla!

Aprii il coperchio, tolsi la sonda, presi la carne e la misi su un tagliere e poi… la brutta sorpresa. Preso dalla furia di preparare il tutto non misi una leccarda sotto alla carne. Maledetto me! Sul fondo del kettle c’era una poltiglia formata da cenere e succhi di cottura (e meno male il girello non ne fa tanti).

Sicché, gran moccolo di sfogo e via a mangiare!

Tutta la fatica della prima grigliata svanì quando la mia moglie smise di offendermi ed iniziò a mangiare con gusto ma, soprattutto, quando il mio figliolo esclamò: “babbo, è bona la ciccia come la cucini te! Me la rifai?”.

Tralascio la fase di pulitura perché alternai un moccolo ad ogni tentativo di pulitura con l’apposita spazzola!

El Chipa